Una nota informativa di Senza Bavaglio, che mostra lo stato di estrema incertezza e precarietà delle imprese editoriali in questo 2013.
Qualche tempo fa è stato diffuso un messaggio allarmante della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana, il sindacato unitario dei giornalisti): “attenzione, esauriti i fondi per i prepensionamenti dei giornalisti, cautela nelle vertenze, raccordo con i livelli territoriali e nazionali del Sindacato”.
….”da più parti ci viene segnalata, ……..l’inaudita pressione effettuata da parte di alcune aziende sui Cdr e sulle redazioni per ottenere la firma di verbali di intesa che, definendo uno stato di crisi, concordino su esuberi da gestire con casse integrazioni e prepensionamenti”……
E chi l’avrebbe mai detto, se non le solite (perennemente inascoltate) minoranze del nostro sindacato – che togliendo tutti i paletti agli stati di crisi, contenuti nel Contratto Nazionale, saremmo arrivati all’Apocalisse del mondo dell’editoria?
Prima della firma dell’ultimo contratto in sostanza per chiedere lo stato di crisi l’azienda doveva dimostrare di avere avuto il bilancio in rosso negli ultimi due anni. Ora basta la presunzione di una diminuzione degli introiti pubblicitari o di una riduzione delle copie vendute nel futuro più o meno prossimo per chiedere (ed ottenere) uno stato di crisi.
Vere o false che siano le crisi, resta il fatto che nessuno può ostacolare questo processo e che i numeri delle richieste di prepensionamento e di chiusura di testate aumentano di giorno in giorno.
L’Ansa dell’11 febbraio annunciava solo per la RCS periodici 800 esuberi e 10 testate da vendere o chiudere. Da altre fonti si apprende che il Corriere sta per vendere il suo palazzo storico…ma forse non può farlo, dicono altri.
E ancora da http://www.primaonline.it : 72 prepensionamenti già presentati, tra gli altri, da ‘Stampa’ (32), ‘Avvenire’ (15), ‘Tuttosport’ e ‘Corriere dello Sport’. E via di questo passo…
La débacle è iniziata proprio negli anni successivi alla firma dell’ultimo contratto, chiuso, lo ricordiamo, con il totale abbandono dei giornalisti che lavorano fuori dalle redazioni e la svendita all’ingrosso dei giornalisti contrattualizzati.
Comunque una cosa positiva c’è stata, e qui dobbiamo darne atto alle nostre istituzioni, incessantemente stimolate sulla materia da Pino Nicotri, uno degli animatori di Senza Bavaglio. Dall’anno 2009 l’onere dei prepensionamenti è posto a carico del bilancio dello Stato, e non più dell’INPGI (ente di previdenza dei giornalisti), per un importo annuo pari a 20 milioni di euro (leggi 2, 14, 33 del 2009).
Già, ma senza più paletti via alla corsa più sfrenata verso lo stato di crisi, e così i soldi sono finiti…
E’ piuttosto inutile piangere sul latte versato come fanno solo ora i dirigenti della FNSI: “frenando qualsiasi ipotesi di ricorso ai prepensionamenti”.
Perlomeno l’INPGI una manovra l’ha fatta prontamente nel 2011 per rettificare il corso in discesa vertiginosa che stava portando inesorabilmente verso la perdita di entrate dai contributi forti e l’uscita di pensioni consistenti. Cioè il nuovo preoccupante trend è chiaro: le uscite (pensioni) superano le entrate (contributi). E probabilmente l’INPGI sarà pure costretto a fare velocemente un’altra manovra.
Poco o nulla è servito il fortissimo sgravio contributivo triennale concesso dall’Istituto alle aziende in caso di assunzioni a tempo indeterminato: ne hanno usufruito solamente 73 aziende su 4.600 attive e iscritte all’INPGI, per un totale di 242 giornalisti assunti, in tutta Italia.
Attenzione però insieme ai soldi dello Stato per i prepensionamenti è stato anche introdotto un contributo del 30 per cento, per ciascun prepensionamento effettuato, a carico dei singoli datori di lavoro. Percentuale riferita al costo complessivo dell’anticipo del trattamento rispetto all’età prevista per la pensione di vecchiaia.
Ogni prepensionamento, se si utilizza la 416, costerebbe quindi all’editore un bel 30 per cento. E allora? Fatta la legge, trovato l’inganno. Le aziende, abili e veloci a far di conto, nella gran parte dei casi hanno preferito ricorrere alle dimissioni volontarie da parte dei giornalisti che avevano i requisiti per accedere al prepensionamento. E come funziona il giochino? Molto semplice. Poniamo che un prepensionamento costasse all’editore 150.000 euro, l’azienda ne offre la metà (o anche meno) al giornalista prepensionando purchè si dimetta. Il giornalista nove su dieci accetta, se ne va volontariamente, e incassa, tanto per lui non cambia nulla: la pensione è la stessa. Così lui incassa il gruzzoletto e l’azienda risparmia un bel 50%, come minimo. Ma per la categoria, le cose cambiano eccome: con questo sistema i prepensionamenti passano direttamente a carico del nostro Istituto.
Ma vediamo un po’ di numeri, per così dire, illuminanti.
49 aziende hanno chiesto (e ottenuto) lo stato di crisi per complessivi 781 casi decretati al 19 febbraio 2013.
Dal 2009 al 2012 sono stati liquidati 471 prepensionamenti a carico dello Stato cui se ne aggiungono altri 411 a carico dell’INPGI.
Man mano che il contenitore dello Stato si svuota il nostro sindacato cerca di trovare altri bacini dove “parcheggiare” i giornalisti in via di espulsione e così ecco emergere i “contratti di solidarietà”. Un ammortizzatore praticamente inutilizzato fino al 2007. Non dimentichiamo che sia la Cigs sia i contratti di solidarietà non sono finanziati da alcuna aliquota specifica ma l’onere ricade esclusivamente sulle spalle dell’INPGI
E così in un solo anno, dal 2009 al 2010, la spesa per l’INPGI ha avuto un incremento dell’800%, è passata cioè da 227.000 euro a due milioni di euro. Per arrivare a 7 milioni di euro nel 2012.
Dati parecchio preoccupanti per le casse dell’INPGI, tanto è che il Consiglio di Amministrazione, con una delibera dell’ottobre 2012 – approvata dai Ministeri vigilanti il 23 gennaio 2013 –, introduce un tetto all’integrazione salariale pari al massimale previsto per la cassa integrazione che per l’anno 2013 ammonta a 1.085,57 euro. Cui va aggiunto il 20% , calcolato sullo stipendio, a carico dello Stato.
Per fare un esempio, poniamo una riduzione di orario del lavoro del 50%, chi ha uno stipendio mensile di 4.000 euro lordi ne potrebbe percepire 2.000 dal datore di lavoro per le ore lavorate, mentre per la parte di retribuzione persa percepirà 1.085,57 euro lordi dall’INPGI più il rimborso dell’ulteriore aliquota del 20% (al netto della trattenuta del 5,84%) pari a 376,64 euro a carico dello Stato.
Tutto il periodo in contratto di solidarietà resta comunque coperto dai contributi figurativi (cioè non si perde il periodo contributivo perché il costo viene coperto dall’INPGI). La nuova normativa non è retroattiva.
La spesa per la cassa integrazione è invece passata da 492.350,08 nel 2009 a 1.161.742,58 nel 2010 (con un incremento del 135,95%). Per poi arrivare ai 2.842.528 nel 2011 con un + 144,67%.
Forse, proprio rendendosi conto di questi numeri che fanno tremare le casse dell’INPGI, la FNSI richiama l’attenzione dei cdr ai pericoli della cassa integrazione.
Ora comunque la categoria si chiede: che sarà del giornalismo e dei giornalisti? Dall’alto dei vertici sindacali risposte, concretezza, coraggio e azione tardano ad arrivare.
E intanto le aziende corrono. Fuori i giornalisti che costano. Dentro nessun giovane o pochi eletti. Quindi assolutamente fallimentare l’idea del “patto generazionale” tanto sbandierata dai leader della FNSI.
Tanto le aziende hanno a portata di mano una massa di manovalanza disposta a tutto pur di porre la propria firma da qualche parte.
Non dimentichiamo infatti che se da una parte abbiamo molti freelance seri e professionali che non accettano di essere sottopagati, non cedono ai compromessi e aspettano con ansia concreti risultati dalla legge sull’Equo Compenso, dall’altra avanza l’esercito dei “disposti a tutto”. Il vero pericolo per la categoria tutta.